Nel processo tributario, come è ammessa la possibilità che le dichiarazioni rese da terzi agli organi dell’Amministrazione finanziaria trovino ingresso, a carico del contribuente, fermo il divieto di ammissione della prova testimoniale posto dall’art. 7 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 – con il valore probatorio “proprio degli elementi indiziari, i quali, mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione” (Corte costituzionale, sent. n. 18 del 2000), va del pari necessariamente riconosciuto anche al contribuente lo stesso potere di introdurre dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale – beninteso, con il medesimo valore probatorio – dando cosi concreta attuazione ai principi del giusto processo come riformulati nel nuovo testo dell’art. 111 della Costituzione, per garantire il principio della parità delle armi processuali nonché l’effettività del diritto di difesa (nella specie, mentre si è riconosciuto che correttamente la Commissione tributaria aveva preso in considerazione l’atto notorio contenente le dichiarazioni rese dal genitore del contribuente, si è ritenuto invece errato aver assegnato a tali dichiarazioni il valore di prova vera e propria, basando la decisione solo su di esse).